Un genocidio del futuro?
«Voi bambini siete il futuro.» «Voi siete la speranza del mondo.»
Quante volte queste frasi risuonano nei discorsi ufficiali, nelle scuole, nei proclami dei politici. Ma diventano parole vuote, persino ipocrite, se guardiamo alla realtà: milioni di bambini oggi non hanno alcun futuro davanti a sé.
I dati delle Nazioni Unite sono impietosi. Quasi mezzo miliardo di minori vive in zone di conflitto, oltre undicimila sono stati uccisi o mutilati in un solo anno, decine di milioni sono sfollati o costretti a lasciare la scuola. Dietro ogni cifra c’è un volto, una storia, un nome. È per questo che parlare di genocidio del futuro non è un’esagerazione: è la descrizione più fedele di un’infanzia che viene spezzata, giorno dopo giorno.
La guerra ferisce i bambini due volte. Le prime ferite sono nel corpo: mutilazioni, amputazioni, malattie aggravate dall’assenza di cure. Le altre, più profonde, sono nell’anima: incubi ricorrenti, ansia, depressione, dipendenze. Un trauma che diventa cicatrice collettiva e si trasmette alle generazioni future.
Un bambino che cresce sotto le bombe impara a distinguere il suono di un missile, ma dimentica cosa significa sentirsi al sicuro. Chi non frequenta la scuola perde non solo le lezioni, ma la possibilità di immaginare un domani diverso.
Eppure, accanto alla distruzione, ci sono mani che ricuciono. Grandi organizzazioni internazionali come UNICEF, Save the Children, War Child o la Croce Rossa, insieme a una miriade di piccole ONG locali, offrono cure, rifugi, spazi sicuri, sostegno psicologico e istruzione d’emergenza. Non sono eroi da copertina, ma operatori e volontari che fanno del futuro un fatto quotidiano, non un semplice slogan.
Sul piano politico, i governi hanno sottoscritto trattati solenni per vietare il reclutamento dei minori, reintegrare i bambini-soldato e proteggere scuole e ospedali dagli attacchi. Ma i rapporti ONU dimostrano che troppo spesso questi impegni restano sulla carta. Le firme brillano nei palazzi delle conferenze, mentre i quaderni dei bambini si riempiono di polvere e macerie.
La situazione odierna trabocca di conflitti e sopraffazioni. È la dimostrazione che i modelli dominanti — le filosofie di mercato centrate sul consumo e sul possesso, o le ideologie sociali usate come strumenti di potere — hanno mostrato le loro falle. Hanno prodotto ricchezza per pochi e disastri sociali per molti.
È tempo che le coscienze riconoscano il fallimento di queste strade e volgano lo sguardo verso visioni che parlino di speranza e non di odio, di rispetto e non di sfruttamento.
Tra queste visioni, il Neoumanesimo offre un cambio di prospettiva radicale. Il bambino non è solo “il futuro”: è un presente vivo e sacro. Proteggerlo non è un atto di carità, ma un dovere verso l’intera umanità. Il Neoumanesimo afferma la centralità del bambino, la solidarietà oltre i confini, l’educazione alla non-violenza e la giustizia per i crimini contro i minori.
Questi principi non restano teoria: sono numerosissime, come abbiamo già detto, le organizzazioni che si adoperano in operazioni di soccorso e di sostentamento nelle calamità naturali e nelle zone di guerra creando mense, scuole, spazi a misura di bambino. Ma vivono soprattutto in quelle realtà dove i bambini crescono imparando a rispettare la vita in tutte le sue forme, a cooperare, a immaginare un futuro in cui nessuno venga escluso.
Non sono solo le parole che devono parlare di pace, è fondamentale che gli insegnanti, e con loro tutti gli adulti, offrano un adeguato esempio. I valori non si trasmettono a colpi di slogan: si incarnano nei comportamenti quotidiani. La compassione, la verità, il rispetto della natura passano attraverso la coerenza degli adulti.
In un mondo dove molti politici pensano agli interessi immediati più che al futuro delle prossime generazioni, la responsabilità degli educatori — genitori, insegnanti, volontari — diventa decisiva. Sono loro i veri custodi del futuro, i seminatori di pace.
«La guerra è sempre una guerra contro i bambini», scriveva Eglantyne Jebb, fondatrice di Save the Children, più di un secolo fa. Lo vediamo ancora oggi nei villaggi bombardati di Gaza e dell’Ucraina, nei campi profughi del Sudan, nelle scuole distrutte dello Yemen.
Eppure la speranza non è morta. Vive nei centri dove i bambini ricominciano a giocare, nei laboratori dove la musica diventa terapia, nelle mense che trasformano un pasto in dignità, e nelle scuole neoumaniste che educano quotidianamente al rispetto universale.
Il futuro non è condannato finché ci saranno donne e uomini che, in silenzio e lontano dai riflettori, continueranno a servire la vita. Sono loro gli esempi di pace, i costruttori di un futuro che resiste.